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quesito di vita o di morte

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    quesito di vita o di morte

    perchè tutt'attaccato si scrive separato e separato si scrive tutt'attaccato???
    le zembre sono bianche a striscie nere o nere a striscie bianche?
    ragazzi, divertiamoci qui a scrivere le cose + pazze possibili ed immaginabili...dai...movimentiamo un pò di + qst forum

    #2
    certo k l puoi evitare certe discussioni...è un forum scolastico dove di discute di problemi o cmq sia argomenti scolastici...nn cretinate...
    EvViVa Me ChE mI sPoSo In GrOeLaNdIa

    ......e che risposta avrà questo bivio???.....

    piccì TIviBI

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      #3
      La storia delle ricerche sul significato è ricca di uomini (che sono animali razionali e mortali), di scapoli (che sono maschi adulti non sposati) e persino di tigri (anche se non si sa bene se definirle come mammiferi felini o gattoni dal manto giallo striato di nero). Rarissime (ma le poche che ci sono, sono molto importanti) le analisi di preposizioni e avverbi (quale è il significato di accanto, da o quando?); eccellenti alcune analisi di sentimenti (si pensi alla collera greimasiana), abbastanza frequenti le analisi di verbi, come andare, pulire, lodare, uccidere. Non risulta invece che alcuni studio di semantica abbia dato una analisi soddisfacente del verbo essere, che pure usiamo nel linguaggio quotidiano, in tutte le sue forme, con una certa frequenza. Del che si era accorto benissimo Pascal (Frammento 1655): "Non ci si può accingere a definire l'essere senza cadere in questo assurdo: perché non si può definire una parola senza cominciare dal termine è, sia espresso o sottinteso. Dunque per definire l'essere, bisogna dire è, e così usare il termine definito nella definizione." Il che non è lo stesso che dire, con Gorgia, che dell'essere non si può parlare : se ne parla moltissimo, sin troppo, salvo che questa parola magica ci serve a definire quasi tutto ma non è definita da tutto. In semantica si parlerebbe di un primitivo, il più primitivo tra tutti. Quando Aristotele (Metafisica IV, 1,1) dice che c'è una scienza che studia l'essere in quanto essere, usa il participio presente, to on. In italiano alcuni traducono l'ente, altri l'essere. Infatti questo to on può essere inteso come ciò che è, come l'essere esistente, e infine quello che la Scolastica chiamava l'ens, il cui plurale sono gli entia, le cose che ci sono. Ma se Aristotele avesse solo pensato alle cose del mondo reale che ci circonda, non avrebbe parlato di una scienza speciale: gli enti sono studiati, a seconda dei settori della realtà, dalla zoologia, dalla fisica, persino dalla politica. Aristotele dice to on ê on, l'ente in quanto tale. Quando di un ente (sia esso pantera o piramide) si parla in quanto ente (e non in quanto pantera o piramide), ecco che il to on diventa ciò che è comune a tutti gli enti, e ciò che è comune a tutti gli enti è il fatto che siano, il fatto di essere. In questo senso, come diceva Peirce, l'essere (Being) è quell'aspetto astratto che appartiene a tutti gli oggetti espressi da termini concreti: esso ha una estensione illimitata e una intensione (o comprensione) nulla. Che è come dire che si riferisce a tutto ma non ha alcun significato. Per cui appare chiaro perché quell'uso sostantivo del participio presente, normale per i greci, nel linguaggio filosofico si trasferisce a poco a poco anche all'infinito, se non in greco certamente nello esse scolastico. Per altro l'ambiguità la si trova già in Parmenide che parla di t'eon ma poi afferma che esti gar einai (DK 6), ed è difficile non intendere in senso sostanziale un infinito (essere) che diventa soggetto di un è. In Aristotele l'essere come oggetto di scienza è to on, ma l'essenza è to ti en einai (Met. IV, 1028b 33.36), ciò che era l'essere, ma nel senso di ciò che è stabilmente (che sarà poi tradotto come quod quid erat esse). Tuttavia, non si può però negare che essere sia anche un verbo, che esprime non soltanto l'atto dell'essere qualcosa (per cui diciamo che un gatto è un felino) ma anche l'attività (per cui diciamo che è bello essere in buona salute, o essere in viaggio) a tal punto che spesso (quando si dice che si è contenti di essere al mondo) lo si usa come sinonimo di esistere, anche se l'equazione lascia spazio a molte riserve, perché originariamente ex-istere significa "uscire-da", "manifestarsi" e quindi "venire all'essere". Quindi abbiamo (i) un sostantivo, l'ente, (ii) un altro sostantivo, l'essere, e (iii) un verbo, essere. L'imbarazzo è tale che lingue diverse vi reagiscono in modo diverso. Italiano e tedesco hanno un termine per (i), ente e Seiende, ma un solo termine sia per (ii) che per (iii), essere e Sein. Si sa come su questa distinzione Heidegger fondi la differenza tra ontico e ontologico, ma come ce la caveremo con l'inglese, che ha pure due termini salvo che to be copre solo l'accezione (iii) e Being copre sia la (i) che la (ii)? Il francese ha un solo termine être; è vero che sin dal XVII secolo appare il neologismo filosofico étant, ma lo stesso Gilson (nella prima edizione di L'être et l'essence) fa fatica ad accettarlo, e vi si decide solo nelle edizioni successive. Il latino scolastico aveva adottato ens per (i), ma giocava con tormentata disinvoltura su (ii), usando talora ens e talora esse.

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        #4
        Originariamente inviato da Ryanerth Visualizza il messaggio
        La storia delle ricerche sul significato è ricca di uomini (che sono animali razionali e mortali), di scapoli (che sono maschi adulti non sposati) e persino di tigri (anche se non si sa bene se definirle come mammiferi felini o gattoni dal manto giallo striato di nero). Rarissime (ma le poche che ci sono, sono molto importanti) le analisi di preposizioni e avverbi (quale è il significato di accanto, da o quando?); eccellenti alcune analisi di sentimenti (si pensi alla collera greimasiana), abbastanza frequenti le analisi di verbi, come andare, pulire, lodare, uccidere. Non risulta invece che alcuni studio di semantica abbia dato una analisi soddisfacente del verbo essere, che pure usiamo nel linguaggio quotidiano, in tutte le sue forme, con una certa frequenza. Del che si era accorto benissimo Pascal (Frammento 1655): "Non ci si può accingere a definire l'essere senza cadere in questo assurdo: perché non si può definire una parola senza cominciare dal termine è, sia espresso o sottinteso. Dunque per definire l'essere, bisogna dire è, e così usare il termine definito nella definizione." Il che non è lo stesso che dire, con Gorgia, che dell'essere non si può parlare : se ne parla moltissimo, sin troppo, salvo che questa parola magica ci serve a definire quasi tutto ma non è definita da tutto. In semantica si parlerebbe di un primitivo, il più primitivo tra tutti. Quando Aristotele (Metafisica IV, 1,1) dice che c'è una scienza che studia l'essere in quanto essere, usa il participio presente, to on. In italiano alcuni traducono l'ente, altri l'essere. Infatti questo to on può essere inteso come ciò che è, come l'essere esistente, e infine quello che la Scolastica chiamava l'ens, il cui plurale sono gli entia, le cose che ci sono. Ma se Aristotele avesse solo pensato alle cose del mondo reale che ci circonda, non avrebbe parlato di una scienza speciale: gli enti sono studiati, a seconda dei settori della realtà, dalla zoologia, dalla fisica, persino dalla politica. Aristotele dice to on ê on, l'ente in quanto tale. Quando di un ente (sia esso pantera o piramide) si parla in quanto ente (e non in quanto pantera o piramide), ecco che il to on diventa ciò che è comune a tutti gli enti, e ciò che è comune a tutti gli enti è il fatto che siano, il fatto di essere. In questo senso, come diceva Peirce, l'essere (Being) è quell'aspetto astratto che appartiene a tutti gli oggetti espressi da termini concreti: esso ha una estensione illimitata e una intensione (o comprensione) nulla. Che è come dire che si riferisce a tutto ma non ha alcun significato. Per cui appare chiaro perché quell'uso sostantivo del participio presente, normale per i greci, nel linguaggio filosofico si trasferisce a poco a poco anche all'infinito, se non in greco certamente nello esse scolastico. Per altro l'ambiguità la si trova già in Parmenide che parla di t'eon ma poi afferma che esti gar einai (DK 6), ed è difficile non intendere in senso sostanziale un infinito (essere) che diventa soggetto di un è. In Aristotele l'essere come oggetto di scienza è to on, ma l'essenza è to ti en einai (Met. IV, 1028b 33.36), ciò che era l'essere, ma nel senso di ciò che è stabilmente (che sarà poi tradotto come quod quid erat esse). Tuttavia, non si può però negare che essere sia anche un verbo, che esprime non soltanto l'atto dell'essere qualcosa (per cui diciamo che un gatto è un felino) ma anche l'attività (per cui diciamo che è bello essere in buona salute, o essere in viaggio) a tal punto che spesso (quando si dice che si è contenti di essere al mondo) lo si usa come sinonimo di esistere, anche se l'equazione lascia spazio a molte riserve, perché originariamente ex-istere significa "uscire-da", "manifestarsi" e quindi "venire all'essere". Quindi abbiamo (i) un sostantivo, l'ente, (ii) un altro sostantivo, l'essere, e (iii) un verbo, essere. L'imbarazzo è tale che lingue diverse vi reagiscono in modo diverso. Italiano e tedesco hanno un termine per (i), ente e Seiende, ma un solo termine sia per (ii) che per (iii), essere e Sein. Si sa come su questa distinzione Heidegger fondi la differenza tra ontico e ontologico, ma come ce la caveremo con l'inglese, che ha pure due termini salvo che to be copre solo l'accezione (iii) e Being copre sia la (i) che la (ii)? Il francese ha un solo termine être; è vero che sin dal XVII secolo appare il neologismo filosofico étant, ma lo stesso Gilson (nella prima edizione di L'être et l'essence) fa fatica ad accettarlo, e vi si decide solo nelle edizioni successive. Il latino scolastico aveva adottato ens per (i), ma giocava con tormentata disinvoltura su (ii), usando talora ens e talora esse.


        da dove l hai copiato????

        NeI RiTmI OsSeSsIvI La cHiAvE DeI RiTi tRiBaLi rEgNi dI ScIaMaNi e sUoNaToRi zInGaRi rIbElLi..

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          #5
          Originariamente inviato da Ryanerth Visualizza il messaggio
          La storia delle ricerche sul significato è ricca di uomini (che sono animali razionali e mortali), di scapoli (che sono maschi adulti non sposati) e persino di tigri (anche se non si sa bene se definirle come mammiferi felini o gattoni dal manto giallo striato di nero). Rarissime (ma le poche che ci sono, sono molto importanti) le analisi di preposizioni e avverbi (quale è il significato di accanto, da o quando?); eccellenti alcune analisi di sentimenti (si pensi alla collera greimasiana), abbastanza frequenti le analisi di verbi, come andare, pulire, lodare, uccidere. Non risulta invece che alcuni studio di semantica abbia dato una analisi soddisfacente del verbo essere, che pure usiamo nel linguaggio quotidiano, in tutte le sue forme, con una certa frequenza. Del che si era accorto benissimo Pascal (Frammento 1655): "Non ci si può accingere a definire l'essere senza cadere in questo assurdo: perché non si può definire una parola senza cominciare dal termine è, sia espresso o sottinteso. Dunque per definire l'essere, bisogna dire è, e così usare il termine definito nella definizione." Il che non è lo stesso che dire, con Gorgia, che dell'essere non si può parlare : se ne parla moltissimo, sin troppo, salvo che questa parola magica ci serve a definire quasi tutto ma non è definita da tutto. In semantica si parlerebbe di un primitivo, il più primitivo tra tutti. Quando Aristotele (Metafisica IV, 1,1) dice che c'è una scienza che studia l'essere in quanto essere, usa il participio presente, to on. In italiano alcuni traducono l'ente, altri l'essere. Infatti questo to on può essere inteso come ciò che è, come l'essere esistente, e infine quello che la Scolastica chiamava l'ens, il cui plurale sono gli entia, le cose che ci sono. Ma se Aristotele avesse solo pensato alle cose del mondo reale che ci circonda, non avrebbe parlato di una scienza speciale: gli enti sono studiati, a seconda dei settori della realtà, dalla zoologia, dalla fisica, persino dalla politica. Aristotele dice to on ê on, l'ente in quanto tale. Quando di un ente (sia esso pantera o piramide) si parla in quanto ente (e non in quanto pantera o piramide), ecco che il to on diventa ciò che è comune a tutti gli enti, e ciò che è comune a tutti gli enti è il fatto che siano, il fatto di essere. In questo senso, come diceva Peirce, l'essere (Being) è quell'aspetto astratto che appartiene a tutti gli oggetti espressi da termini concreti: esso ha una estensione illimitata e una intensione (o comprensione) nulla. Che è come dire che si riferisce a tutto ma non ha alcun significato. Per cui appare chiaro perché quell'uso sostantivo del participio presente, normale per i greci, nel linguaggio filosofico si trasferisce a poco a poco anche all'infinito, se non in greco certamente nello esse scolastico. Per altro l'ambiguità la si trova già in Parmenide che parla di t'eon ma poi afferma che esti gar einai (DK 6), ed è difficile non intendere in senso sostanziale un infinito (essere) che diventa soggetto di un è. In Aristotele l'essere come oggetto di scienza è to on, ma l'essenza è to ti en einai (Met. IV, 1028b 33.36), ciò che era l'essere, ma nel senso di ciò che è stabilmente (che sarà poi tradotto come quod quid erat esse). Tuttavia, non si può però negare che essere sia anche un verbo, che esprime non soltanto l'atto dell'essere qualcosa (per cui diciamo che un gatto è un felino) ma anche l'attività (per cui diciamo che è bello essere in buona salute, o essere in viaggio) a tal punto che spesso (quando si dice che si è contenti di essere al mondo) lo si usa come sinonimo di esistere, anche se l'equazione lascia spazio a molte riserve, perché originariamente ex-istere significa "uscire-da", "manifestarsi" e quindi "venire all'essere". Quindi abbiamo (i) un sostantivo, l'ente, (ii) un altro sostantivo, l'essere, e (iii) un verbo, essere. L'imbarazzo è tale che lingue diverse vi reagiscono in modo diverso. Italiano e tedesco hanno un termine per (i), ente e Seiende, ma un solo termine sia per (ii) che per (iii), essere e Sein. Si sa come su questa distinzione Heidegger fondi la differenza tra ontico e ontologico, ma come ce la caveremo con l'inglese, che ha pure due termini salvo che to be copre solo l'accezione (iii) e Being copre sia la (i) che la (ii)? Il francese ha un solo termine être; è vero che sin dal XVII secolo appare il neologismo filosofico étant, ma lo stesso Gilson (nella prima edizione di L'être et l'essence) fa fatica ad accettarlo, e vi si decide solo nelle edizioni successive. Il latino scolastico aveva adottato ens per (i), ma giocava con tormentata disinvoltura su (ii), usando talora ens e talora esse.
          Ma alla fine perchè tutto attaccato si scrive separato e separato si scrive tutto attaccato?

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            #6
            qualkuno mi riassumerebbe gentilmente il testo di ryanerth???graaazie

            madò veramente è strano sta cs di attaccato e separato...nessuno sa il xkè???
            blu... e vorresti solo urlare blu e non chiedi proprio altro che blu... anche il cielo ormai spento si tinge di un nuovo colore che non ho mai visto se non dentro gli occhi tuoi diamanti blu questo sono e nient'altro di piu e non vedo colore che blu

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              #7
              Esempio di dove la demenza umana può arrivare...che vergogna...io che sono il primo dei c******i mi disgusto..figuriamoci
              Ultima modifica di Mr. Francis; 30/11/2007, 13:37. Motivo: modera il linguaggio

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                #8
                Originariamente inviato da Airegin Visualizza il messaggio
                Esempio di dove la demenza umana può arrivare...che vergogna...io che sono il primo dei c******i mi disgusto..figuriamoci
                ma dai per una cavolata che fa ridere!!!

                P.s.: e comunque modera il linguaggio.

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                  #9
                  Originariamente inviato da Mr. Francis Visualizza il messaggio
                  ma dai per una cavolata che fa ridere!!!

                  P.s.: e comunque modera il linguaggio.
                  non fa ridere a nessuno state ridendo solo tu e mazza e comunque ti accanisci tanto sul linguaggio e poi nn sulle cose serie

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                    #10
                    fa ridere proprio perchè è una cosa scema

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                      #11
                      Originariamente inviato da Mr. Francis Visualizza il messaggio
                      fa ridere proprio perchè è una cosa scema
                      contento tu

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                        #12
                        maaa daai fa rideree
                        a cmq le zebre sn bianche a strisce nere!
                        ahahaha alemno un quesito è risolto, ma qll del separato e tutt'attaccato booo!
                        blu... e vorresti solo urlare blu e non chiedi proprio altro che blu... anche il cielo ormai spento si tinge di un nuovo colore che non ho mai visto se non dentro gli occhi tuoi diamanti blu questo sono e nient'altro di piu e non vedo colore che blu

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                          #13
                          airegin sei proprio antipatiko!!!!sembri mio nonno!!!!
                          I DURI HANNO DUE CUORI!!!!!!!CN IL CUORE BUONO AMANO UN Pò DI PIù,CON IL CUORE GUASTO ODIANO SEMPRE UN Pò DI PIU:D:D

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                            #14
                            Originariamente inviato da argilina Visualizza il messaggio
                            airegin sei proprio antipatiko!!!!sembri mio nonno!!!!
                            meno male che ci sei tu che sei simpatica!

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                              #15
                              grazie grazie lo so già! è inutile ke me lo dici.... prendi la vita con più montana, mi sembri mio nonno pietro ke ha combattuto nella seconda guerra mondiale, ritorna tra i giovani!!!!!!!!!!!!!!
                              I DURI HANNO DUE CUORI!!!!!!!CN IL CUORE BUONO AMANO UN Pò DI PIù,CON IL CUORE GUASTO ODIANO SEMPRE UN Pò DI PIU:D:D

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