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Articoli di Curzio Maltese e Marco Travaglio sulla protesta degli studenti

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    Articoli di Curzio Maltese e Marco Travaglio sulla protesta degli studenti

    COSA VOGLIONO QUEI RAGAZZI

    di CURZIO MALTESE

    La sera del 13 dicembre, vigilia del voto di fiducia e degli scontri di piazza del Popolo, l'ho passata alla Sapienza per discutere con gli studenti che cosa sarebbe successo il giorno dopo. Soprattutto sul come i media avrebbero trattato la rivolta degli studenti. La paura era il remake di Genova 2001. Zone rosse, black bloc, infiltrati e no, botte da orbi. In questo modo le ragioni del movimento sarebbero state completamente oscurate dal dibattito sulla violenza, come poi ha scritto Roberto Saviano.

    I media si sarebbero volentieri accodati, alcuni per servilismo, altri per sensazionalismo, altri ancora per il riflesso condizionato di paragonare ogni movimento giovanile al passato. Nel 2001, fra i fumi dei lacrimogeni veri e gli altri a mezzo stampa, la strategia ha funzionato benissimo e l'Italia ha perso una grande occasione di modernità. Basta rileggersi i documenti del movimento no global dell'epoca sulla finanza internazionale, le bolle speculative, la privatizzazione dell'acqua, il clima o l'evoluzione del mercato agricolo per capire quanto fossero profetiche, acute, attuali quelle analisi. Tanto più degne d'attenzione delle quattro fesserie di circostanza e delle mille menzogne esalate durante il G8 da Bush e dagli altri potenti della terra. Ma si discusse soltanto degli atti di pochi violenti e dei discorsi vacui del potere.

    Fra dieci anni potremmo pentirci di non aver ascoltato le ragioni degli studenti italiani, la loro protesta che è anzitutto contro il declino dell'Italia. Una battaglia che dovrebbe riguardare tutti, giovani
    e anziani, partiti e sindacati, destra e sinistra, imprenditori e lavoratori. Riguarda molto gli altri giovani di piazza del Popolo, i ragazzi in divisa, ventenni che spesso non hanno trovato altri lavori e misurano sulla propria pelle che cosa significhi aver studiato più dei colleghi anziani per avere meno soldi in busta paga e minori possibilità di carriera. Ragazzi in divisa che infatti, come si vede dai filmati, non avevano alcuna voglia di usare i manganelli. Il declino non riguarda soltanto l'Italia, ma l'Europa intera. E infatti la protesta degli studenti esplode in tutte le capitali d'Europa. La differenza è che soltanto in Italia, la nazione dove il declino è peggiore, si considera la protesta un mero problema di ordine pubblico, una faccenda poliziesca.

    Qui non si tratta di una riforma buona o cattiva. Sarebbe facile smontare i due o tre slogan populisti e volgari sui quali si fonda la difesa della legge Gelmini. La guerra ai baroni? La riforma concentra il massimo del potere nelle mani dei rettorati, il Gotha del baronato. La lotta agli sprechi, ai troppi assunti, agli stipendi clientelari che fagocitano tutte le risorse? Su questo punto è difficile rimanere calmi. Il maggior spreco clientelare nella storia della scuola pubblica, il più costoso degli ultimi vent'anni, è stata l'assunzione di massa di ventimila insegnanti di una materia facoltativa, la religione, decisa da un governo Berlusconi per garantirsi l'appoggio dei vescovi. Spreco, vergogna, insulto alla Costituzione e alla meritocrazia, visto che gli insegnanti di religione non debbono affrontare un concorso, ma soltanto essere segnalati dalla curia. Ma questo è davvero il meno.

    Il vero problema è che per la prima volta da secoli in Europa avanza una generazione "meno". Una generazione che avrà meno opportunità, mobilità sociale, in concreto meno consumi, automobili, case, strade, pensioni, perfino forse aspettative di vita, nonostante i progressi della scienza, di quanto ne abbiano avute i padri. È la questione dell'epoca ed è gigantesca, inedita. Ed è tanto più evidente in Italia, avanguardia del declino europeo. La politica, i sindacati, le associazioni industriali e finanche la Chiesa non dovrebbero occuparsi d'altro. Invece si occupano soltanto d'altro. Tutti dovremmo essere grati a questi ragazzi perché ci ricordano che abbiamo un futuro e dobbiamo sceglierlo. Invece molti e forse la maggioranza sono grati all'idiota che picchia un poliziotto a terra, al delinquente che incendia una camionetta o sfonda un bancomat, a chiunque armato di un bastone ci permetta il lusso di non pensare, come ricordava Saviano. Oggi come nel 2001, dopo Genova. Dopo Genova ci sono stati i crack finanziari, la peggiore crisi dal dopoguerra, il crollo dei prezzi agricoli, la privatizzazione dei grandi acquedotti. E adesso, brava gente allevata coi dibattiti televisivi, che cosa deve accadere per svegliarsi?

    (18 dicembre 2010)

    Fonte: Repubblica.it
    Ultima modifica di Butterfly; 19/12/2010, 16:11.

    #2
    Riferimento: Articoli di Curzio Maltese e Marco Travaglio sulla protesta degli studen

    Quando mancano le parole


    di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano, 18 dicembre 2010

    Molti sono rimasti colpiti da quel che è accaduto ad Annozero, al netto delle scalmane del cosiddetto ministro Ignazio La Rissa. Colpiti dal reportage di Ruotolo sugli scontri del 14 dicembre, dove migliaia di studenti solidarizzavano con i pochi violenti. Colpiti dall'atteggiamento dei politici, che pretendevano dagli studenti un’abiura della violenza come precondizione per discutere con loro. Colpiti dall’atteggiamento degli studenti, che non prendevano affatto le distanze, anzi rilanciavano: “Sono due anni che protestiamo pacificamente contro la legge e i tagli della Gelmini e il sottostante progetto di precarizzazione sociale, ma nessuno ci ha ascoltati, nessuno ha parlato con noi. Vi accorgete di noi solo ora che abbiamo abbandonato le buone maniere”.

    In una situazione così bloccata, di incomunicabilità totale, cercavo le parole per dire qualcosa, e non mi venivano. Le ha trovate Santoro: “Se chiediamo agli studenti una risposta sulla violenza, dobbiamo prepararci ad accettare qualsiasi risposta, anche quelle che non ci piacciono e non condividiamo”. Altrimenti, se non c’è un luogo in cui si possano esprimere anche le idee più estreme e meno condivisibili, chi le ha in gola si rassegnerà all’idea malsana di incappucciarsi e unirsi, la prossima volta, ai violenti che finora si è limitato ad applaudire o a non condannare.

    Certo, sarebbe stato più consolatorio per se i tre studenti ospiti di Annozero avessero accreditato la tesi delle poche mele marce, delle minoranze facinorose infiltrate (magari dai servizi deviati) fra 100 mila pacifici manifestanti, pescando fra i luoghi comuni che ricorrono in questi casi: “Pochi imbecilli e delinquenti non devono infangare il buon nome degli studenti”. Non l’hanno detto. Perché non lo pensano e perché non è così. Anzi, han fatto notare che le violenze di martedì non hanno affatto alienato simpatie e consensi al “movimento”, anzi ne hanno ingrossato vieppiù le file: “All’assemblea di martedì sera alla Sapienza c’era molta più gente delle altre volte”.

    Anche questo è un fatto e chi fa informazione deve anzitutto raccontarlo per quello che è, prima di commentarlo. In questa constatazione, La Russa ha visto addirittura un’apologia di reato e un insulto alle forze dell’ordine e ha chiesto di togliere il microfono agli studenti. Mirabile sintesi dell’atteggiamento del governo. Che non giustifica la violenza, ma aiuta a spiegarla. C’è un luogo in cui questi giovani, che un po’ pomposamente si definiscono “un’intera generazione”, possono parlare e trovare qualcuno che li ascolti? No, non c’è. Raggiungerli sui tetti in extremis per raccattare qualche voto è solo un’offesa, l’ultima. Lanciare appelli paternalistici a “isolare i pochi imbecilli che rovinano la protesta pacifica”, con un linguaggio da colonnelli in pensione, non funziona, non attacca. Ammonire contro il ritorno degli anni di piombo, peggio che mai.

    Questi ragazzi rivendicano una specificità e una novità che in parte sono infondate (“diversamente dagli anni ‘70, a tutti noi non ci rappresenta nessuno”: ma anche trent’anni fa era così, anche se un ministro dell’Interno che chiede la galera per i giovani accusati di resistenza a pubblico ufficiale avendo una condanna definitiva per resistenza a pubblico ufficiale, è una novità assoluta). Ma in parte sono reali: è vero che “questa generazione è senza speranze” dunque non ha nulla da perdere, condannata in partenza a scegliere fra precariato selvaggio e disoccupazione, fra disagio alienante ed espatrio, fra rabbia interiore e violenza esteriore. Fermo restando che è sempre giusto farlo, condannare la violenza non basta più. Occorrono parole nuove e luoghi non comuni per comunicare, al di là della retorica e delle frasi fatte. Da oggi, con l’intervista a Barbara Spinelli e il forum aperto sul nostro sito, proviamo umilmente a cercarli insieme.

    (19 dicembre 2010)

    FONTE: micromega

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