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Net Generation

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    Net Generation

    Riporto un interessante articolo di Carlo Formenti (pubblicato sul CorriereEconomia del 22.11.2010) perchè potrebbe essere spunto di riflessione e... discussione


    Net generation, la cultura sfuocata dell’Homo Zappiens

    La distanza culturale fra la Net Generation e il resto dell’umanità è già grande, ma tutto fa pensare che aumenterà. Ossessionate dalla penuria di fondi, le università americane trasferiscono in rete la didattica: nel 2008, più di quattro milioni di studenti hanno seguito lezioni online, e nell’ultimo anno accademico il 12% dei crediti è stato ottenuto attraverso prove virtuali. Molti docenti giapponesi passano gran parte del tempo in viaggio, partecipando a convegni e ricerche all’estero, per cui fanno regolarmente lezione per teleconferenza. Secondo l’ultimo Kids and Family Report, il 60% dei ragazzi fra i 9 e i 17 anni preferisce gli ebook ai libri cartacei. Insomma: entro un decennio, una significativa percentuale di giovani adulti si sarà formata interagendo con schermi di vario genere, senza avere mai toccato un libro o una rivista. Quanto agli effetti che questa mutazione culturale avrà sul cervello delle generazioni future, la polemica è aperta. I critici (vedi gli ultimi libri di Jaron Lanier e Nicholas Carr) sostengono, citando recenti ricerche neurologiche, che l’immersione costante nelle immagini video e le pratiche di multitasking sviluppano riflessi prodigiosi e regalano rapidità di decisione ed elevate competenze nella ricerca di informazioni, ma a prezzi elevati: degradazione della memoria a lungo termine, scarsa capacità di concentrazione, ma soprattutto perdita delle capacità di riflessione critica: le informazioni vengono date per buone quando la maggioranza degli internauti le valuta tali, senza esercitare la propria capacità individuale di giudizio.
    Gli entusiasti contestano l’attendibilità delle ricerche, oppure obiettano che, nel calcolo costi/benefici, i secondi prevalgono sui primi. Nessuno, però, aveva mai sostenuto una tesi radicale come quella che Wim Veen - un professore olandese dell’Università di Delft - difende nel libro «Homo Zappiens». Come è facile intuire, il titolo si riferisce al vizio dei giovanissimi di saltellare continuamente da un canale tv (o da un link) all’altro, senza soffermarsi troppo su ciò che stanno guardando. Ma per Veen non si tratta di un vizio, bensì di un comportamento di grande valore adattativo: in una sfera lavorativa e in un ambiente sociale sempre più complessi, che richiedono decisioni fulminee su una varietà di impulsi simultanei, la strategia dell’Homo Zappiens è quella giusta. È assolutamente vero, ammette Veen, che il multitasking riduce la capacità di riflessione e concentrazione, ma non sono quelle che servono in un contesto che richiede velocità, flessibilità e spirito di adattamento. Scuola e università dovrebbero rinunciare ai vecchi metodi e venire incontro alle nuove esigenze: oggi non si tratta più di «formare» gli individui, bensì di accompagnare le comunità giovanili nei loro spontanei percorsi di apprendimento collettivo, mediati dalla tecnologia. Sarà, ma la mia esperienza di docente mi suggerisce che, anche volendo sorvolare sull’impoverimento linguistico e intellettuale degli Zappiens, e pur apprezzandone l’innegabile talento multimediale, abdicare al ruolo formativo sarebbe un grave errore: vogliamo crescere cittadini capaci di pensare con la loro testa o coltivare una sorta di «mente alveare», incapace di interrogarsi sul senso del mondo in cui vive?
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